DOBBIAMO AVERE CHIARO IL QUADRO

5 Aprile 2016 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi

La Cassazione ha sentenziato ieri: affittare un utero è reato in Italia, ma se lo affitti ucraino in Ucraina non è più reato. Alla faccia di quelli che in Senato (anche alcuni miei amici cattolici del Pd, anche il mio amico Matteo Renzi) tromboneggiavano su mozioni per introdurre il “reato universale” dopo aver stralciato la stepchild adoption. Non è stato fatto niente, il ddl Cirinnà si appresta a essere approvato anche alla Camera, i tribunali marciano come schiacciasassi e io di amici così non so che farmene. Sarò amico solo chi sarà in battaglia per dire forte e chiaro, anche alla Cassazione, che i figli non si pagano e se un utero affittato vale la galera in Italia, deve valere la galera pure se vai ad affittartelo in Ucraina. Nel frattempo però mi si è fatto chiaro il quadro.
Il 25 febbraio con il voto favorevole di 173 senatori, che in grande maggioranza si definiscono cattolici e di certo lo sono i due proponenti (Matteo Renzi e Angelino Alfano) del maxiemendamento su cui è stata posta una disgraziata ed inaudita fiducia, è stato approvato da Palazzo Madama il ddl Cirinnà. Il 26 febbraio il Consiglio d’Europa si è lamentato e ha intimato all’Italia di reinserire l’articolo 5 stralciato, la piccola vittoria concessa alla piazza del Circo Massimo che almeno ha evitato che fosse immediatamente legittimato per legge l’utero in affitto. Perché però ci fosse evidente chi aveva vinto, il 27 febbraio Nichi Vendola faceva dire a qualche amico fidato che lui la pratica dell’utero in affitto l’aveva completata in Canada, così che i giornali del 28 e 29 febbraio non si sono occupati d’altro se non di fare propaganda al contratto di compravendita che ha caratterizzato la venuta al mondo del piccolo Tobia, trattato come fosse un oggetto. Sempre perché il quadro fosse chiaro il 1 marzo Debora Serracchiani, vicesegretario del Partito democratico, sorretta alla bisogna da Maria Elena Boschi annunciava una legge sulle adozioni “per tutti, compresi gay e single”.
Da lì cominciava un mese di marzo piuttosto interessante caratterizzato dall’incardinamento parlamentare del divorzio breve perché quello lampo già non basta più, dalla discussione in commissione Affari sociali e commissione Giustizia alla Camera del progetto di legge sull’eutanasia, del termine agli emendamenti al ddl Cirinnà che, ci fa sapere l’incaricato di partito Walter Verini, “deve essere approvato così come è stato approvato dal Senato”. Quindi, a dire, che il deposito degli emendamenti è un puro esercizio di stile, sono tutti carta straccia. In parallelo si muovevano i tribunali con non una, non due, ma tre sentenze che legittimavano quella stepchild adoption rifiutata dal Parlamento, anche nella versione “incrociata”.
Arriviamo così al mese di aprile che dopo una bella mitragliata di serie televisive e programmi di prima serata tutti inchinati all’amore gay e alla stepchild adoption (pure Laura Pausini e Paola Cortellesi sono state ovviamente arruolate) ci conduce alle sentenza di ieri della Cassazione che esplicitamente afferma che l’utero in affitto italiano è reato, quello ucraino è bene accetto. Tenete presente che nel novembre 2014 la stessa Corte di Cassazione aveva sentenziato in modo diametralmente opposto. Cosa significa questo? Che in quattordici mesi si è ribaltato il mondo. In un annetto quel che era inaccettabile è diventato immediatamente adottabile dal nostro ordinamento senza neanche passare da una discussione su quella legge 40 che ancora oggi afferma che il ricorso all’utero in affitto è punito con due anni di galera e un milione di euro di multa.
Dobbiamo avere chiaro il quadro. In un anno la Cassazione ha ribaltato il suo orientamento. In un mese sono avvenute tante di quelle forzature del costume e delle norme da doverci far scendere in piazza in maniera permanente a difesa della vita e della famiglia messe platealmente sotto attacco. La famiglia non cristianamente intesa, ma anche solo secondo la definizione dell’articolo 29 della Costituzione: società naturale fondata sul matrimonio. L’obiettivo è la disarticolazione di questa definizione. L’unione civile senza obbligo di fedeltà, i figli come mercanzia, la maternità come bene di consumo da locare in Ucraina, il divorzio breve e pure lampo per rendere indolore la frantumazione del rapporto matrimoniale al primo rodimento, la stepchild adoption pure incrociata per legittimare l’idea che è il rapporto omosessuale a legittimare la genitorialità e non il diritto del bambino ad avere una mamma e un papà, elemento che scompare dai radar: tutto questo è il quadro in cui ci siamo mossi, purtroppo silenziosi, nelle ultime sei settimane. Sarà il caso di dare un risposta, anche fragorosa, a partire dalle urne a giugno? Forse sì. Però, fate voi. Si può pure restare alla finestra e vedere quali saranno i prossimi passi verso il baratro.