In principio fu il voto del 17 dicembre 2015 all’Europarlamento che ha dichiarato illegittima sul territorio dei ventotto paesi dell’Unione la pratica dell’utero in affitto definita “contraria alla dignità umana della donna, il cui corpo e le cui funzioni riproduttive sono utilizzati come delle merci”. Poi sono arrivate vittorie importanti di natura politica: dall’Irlanda alle amministrative in Germania di domenica scorsa, lo status quo sembra essere pronto ad essere fracassato, i vecchi equilibri non reggono più. In Slovenia vince il referendum contro il matrimonio gay, in Francia il femminismo internazionale si ritrova per firmare un documento unitario contro la maternità surrogata che ne richiede la messa al bando a livello planetario, Polonia e paesi baltici più Slovacchia, Bulgaria e Romania continuano a resistere alle lobby lgbt che chiedono leggi a loro favorevoli. In questo quadro si comprende perché il Consiglio d’Europa ha respinto la relazione che voleva legittimare la pratica dell’utero in affitto ieri a Parigi. Un voto importantissimo che non si comprende se non si descrive il quadro che ha condotto al voto stesso e se non lo si iscrive in una serie di passaggi che fanno comprendere che in Europa si è alzato e spira un vento nuovo.
Quella del 15 marzo 2016 è stata una giornata drammaticamente importante, per l’Europa e per noi cittadini tutti. La Commissione Affari Sociali del Consiglio d’Europa si è riunita a Parigi a porte chiuse per votare un rapporto sui “diritti umani e le questioni etiche legate alla gestazione per altri”. L’autrice della relazione è la ginecologa e senatrice verde belga Petra de Sutter, apertamente favorevole all’utero in affitto da cui trae sostentamento economico visto che dirige a Gand un’unità dove la maternità surrogata è già praticata e collabora con una clinica che affitta uteri in India. Un conflitto di interessi che le è costato una mozione di sfiducia bocciata con 21 voti a favore e 17 contro. Il timore delle associazioni per i diritti umani e che la relazione di De Sutter, se fosse stata approvata, poteva essere usata come grimaldello in Europa per regolamentare una pratica dichiarata dall’Europarlamento, nella citata risoluzione del 17 dicembre, “contraria alla dignità umana della donna, il cui corpo e le cui funzioni riproduttive sono utilizzati come delle merci”. La risoluzione di Bruxelles è un ostacolo alle mire espansionistiche delle lobby che premono per un allargamento della loro clientela anche nei paesi in cui l’utero in affitto è vietato, e spendono milioni di euro in propaganda, finanziano istituti di ricerca, e si battono per una regolamentazione in nome dell’”amore”, del “dono” e della “libertà”. Per questo le femministe francesi guidate dalla filosofa Silvyane Agacinski e da Laurence Dumont, vicepresidente socialista del Parlamento francese, hanno deciso una mobilitazione. E hanno manifestato davanti alla sede parigina del Consiglio d’Europa per fermare uno scempio. Il Consiglio d’Europa ha votato contro la relazione de Sutter e il pericolo è scampato.
Ora la legge italiana che vieta l’utero in affitto e lo punisce con due anni di carcere e un milione di euro di multa, già dal 2004, si ritrova ad essere una legge d’avanguardia europea. I tentativi che per via giurisprudenziale volevano arrivare a introdurre dalla finestre quel che il Parlamento aveva cacciato dalla porta, cioè la stepchild adoption e tutte le subdole macchinazioni per giungere alla legittimazione de facto dell’utero in affitto, sono ormai in fuorigioco. Anche i guardalinee del Consiglio d’Europa hanno ormai alzato la bandierina e su quella bandierina soffia un vento nuovo.