L’ERRORE GRAVE

14 Maggio 2023 Mario Adinolfi
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, Il Popolo della Famiglia

A pagina 30 del settimanale L’Espresso il buon Massimo Gandolfini si lancia in una serie di giudizi. Definisce “una delusione” l’esperienza di Carlo Casini e “inopportuna e sbagliata” l’esistenza stessa del Popolo della Famiglia. Carlo Casini, leader storico del Movimento per la Vita, è stato un protagonista della vita politica del Novecento incarnando l’ideale antiabortista, venendo sempre eletto con centinaia di migliaia di preferenze. Il Popolo della Famiglia ha in sostanza raccolto da Casini (ormai defunto) il testimone della rappresentanza politica diretta e autonoma dei pro-life in politica, raccogliendo centinaia di migliaia di voti nelle varie occasioni elettorali in cui si è presentato. Alle amministrative di oggi e di domani, ancora una volta, i cittadini italiani hanno l’opportunità di indicare come sindaco della loro città (penso a Ivrea con Carlo Bravi e a Treviso con Luigino Rancan) un pidieffino autonomo dalle coalizioni prevalenti.

L’articolo dell’Espresso dice che la strategia di Gandolfini e Provita è diversa ed è quella di “contaminare” la politica. Il loro giudizio nei confronti di Casini e del PdF è liquidatorio perché noi avremmo perso mentre ottenere una nomina a corte da consulenti del governo sarebbe strategia vincente.

È vero, Casini perse il referendum del 1981, ma portò oltre dieci milioni di italiani a chiedere l’abrogazione della legge 194. È vero, il PdF le elezioni non le vince, ma in qualsiasi arena pubblica è l’unico soggetto riconosciuto che parla senza mezzi termini contro le normative figlie della cultura della morte. La strategia del “contaminare la politica”, cioè acquartierarsi discreti a palazzo nei pressi di chi comanda è oggi al massimo dell’espressione della sua potenza, non per Gandolfini e Provita che sono rotelline impercettibili dell’ingranaggio, ma per il ruolo di incidenza effettiva sulle decisioni che viene svolto dal sottosegretario Alfredo Mantovano. A detta di tutti l’ottimo Mantovano è la persona più potente del governo Meloni, dopo Giorgia Meloni. Dopo nove mesi di governo in posizione di tale preminenza, con la strategia della “contaminazione”, i pro-life italiani cosa hanno ottenuto? Ok, una consulenza per Gandolfini, ma poi?

Contaminando, contaminando, sono rimasti contaminati. Il 24 gennaio 2023 il governo Meloni ha dato parere favorevole ad un ordine del giorno del M5S che lo impegna a “non toccare la legge 194” nel corso della legislatura. Parere favorevole del governo Meloni-Mantovano da cui sono derivati 257 voti favorevoli all’ordine del giorno degli abortisti, nessuno contrario, non s’è trovato neanche un singolo parlamentare coraggioso con un minimo senso di coscienza cristiana. Neanche un voto contrario. Tre astenuti. Stessa scena al consiglio regionale ligure, stavolta su proposta diretta del governatore Toti, centrodestra. E al governatore Zaia, centrodestra, dunque è parso il momento di finanziarie con risorse pubbliche le strutture per far cambiare sesso pure ai minori in Veneto, per poi sostenere una mozione anche qui del M5S a favore del suicidio assistito.
Su questa, due sparuti voti contrari nel cattolicissimo Veneto sono stati trovati. Due.

“Contaminare” equivale alla resa. I giusti richiami all’unità dei tronconi pro-life sbattono su questa valutazione di fondo. Stare al soldo di chi comanda, rinunciando a organizzarsi per vincere, equivale a perdere in partenza. E i fatti purtroppo testimoniano che è così. Se il potere ti lega a sé, quando sceglie di sostenere le più strampalate mozioni M5S contro la vita, non solo devi obbedire e sostenerle, ma devi stare zitto e ripetere che questo è il migliore dei governi possibili pure quando l’Aifa propone di spendere 140 milioni di euro l’anno per la contraccezione generalizzata gratuita. Al limite organizzi una bella chiacchierata e la chiami Stati Generali sulla natalità e speri con un boccone di pane il potere lo riservi pure a te. O almeno qualche briciola.

Quando il Pci era un monolitico partito di potere non sopportava i radicali di Pannella con le loro proposte “fricchettone”: divorzio, aborto, obiezione di coscienza, unioni gay. Pannella non superò mai il 3% dei voti (tranne con l’exploit della Lista Bonino in un’elezione europea) ma con tenacia e visione, presenza fissa organizzata sulle schede elettorali, ineguagliabile capacità mediatica, alla fine vinse tutte le sue battaglie. Alle ultime elezioni politiche a cui si presentò prese nel 2013 lo 0,19%. I suoi nipotini come Marco Cappato, che provò a candidarsi sindaco di Milano ma non riuscì a raccogliere le firme, oggi a Milano sono premiati con l’Ambrogino d’Oro dopo aver introdotto nel nostro ordinamento il suicidio assistito. Quello che il centrodestra con Zaia sostiene e noi pidieffini abbiamo combattuto finanche fisicamente fin sulle scale della Cassazione, offrendo le motivazioni giuridiche che hanno bloccato i referendum imbroglio sull’eutanasia e sulle droghe libere.

Donald Trump partì alle primarie del 2015 accreditato dell’1% dei consensi nel GOP, il Grand Old Party, quel partito repubblicano sempre pro-life a chiacchiere, nei fatti guerrafondaio e disinteressato ai temi etici, come dimostrato dalla dinastia Bush che contrapponeva a Trump il favoritissimo Jeb Bush, governatore della Florida. La capacità comunicativa di Trump demolì i Bush prima e i Clinton poi. Il presidente si scelse come vicepresidente un vero pro-life come Mike Pence, ribaltò la maggioranza alla Corte Suprema nominando giudici pro-life, che a loro volta hanno ribaltato nel giugno 2022 la Roe vs Wade e già ad oggi sono nati trentamila bambini in più negli USA grazie alle normative antiabortiste varate in decine di Stati americani. In più Trump ha smesso di fare la guerra, si è ritirato da quelle in corso e non ne ha intraprese di altre. Ha già detto che se vincerà nel 2024 spegnerà il coinvolgimento americano nel conflitto russo-ucraino. La si nota la differenza con il governo della nostra destra “contaminato” dai nostri pro-life?

La verità è che le sconfitte di Carlo Casini come quelle del PdF preparano la vittoria di domani. Per 45 anni gli americani hanno marciato su Washington sperando di ribaltare la Roe vs Wade e alla fine hanno vinto, grazie ad un outsider che s’è saputo anche organizzare. Se andate su Amazon vi accorgerete che sul tema aborto esistono tanti saggi su quanto sia un “diritto da difendere” e solo un testo antiabortista che è il mio Contro l’aborto – con le 17 regole per vivere felici. I saggi abortisti sono tutti regolarmente venduti su Amazon. Il mio è presente, ma non si può acquistare (chi lo vuole mi scriva a adinolfi@gmail.com e gli dirò come riceverlo). L’esito di un governo di destra che però è culturalmente subalterno e trema come una foglia e ripete “la 194 non si tocca” perché ha paura che se desse battaglia su quel punto perderebbe il potere, è di fatto un restringimento degli spazi per i pro-life. Hanno capito che l’intimidazione funziona e così tutti a votare a favore dell’aborto come diritto in Parlamento, neanche un voto contrario. Bisogna fare l’esatto opposto. Costruire un’opposizione fiera alla cultura della morte che punti dichiaratamente a smantellare le casematte del loro potere, a partire dalla legge 194, con proposte concrete come il reddito di maternità che sarebbe la bomba atomica contro aborto e denatalità che i “contaminatori” non vogliono sentir nominare perché sarebbe efficace e poi come si fa a fare la prossima inutile ma costosissima edizione degli Stati Generali sulla natalità, come si a perdersi in ulteriori inutili chiacchiere?

Mai come oggi i pro-life hanno l’occasione storica per vincere, lo raccontano gli Stati Uniti e anche molte esperienze europee. Ma bisogna esporsi al rischio della battaglia, non accomodarsi nelle pieghe di un potere guerrafondaio e culturalmente subalterno, che ciancia a caso di “etnia” da salvaguardare quando basterebbe spiegare che c’è una radice culturale, storica, giuridica, persino religiosa da salvaguardare con la natalità non solo perché caratteristica nazionale ma perché altrimenti il welfare universalista italiano va a gambe all’aria. E salvaguardarlo deve essere il primo interesse di tutti.
Per vincere dobbiamo giocare la partita e deve essere una partita di popolo, non basta accontentarsi di un paio di nomine che gratificano le persone che le ricevono acquistando il loro silenzio. Dobbiamo pretendere un terreno di confronto politico e democratico. E lì possiamo prevalere, cambiando davvero la storia.
È la missione della nostra generazione.