Su Egonu e Malagò

4 Agosto 2021 Mario Adinolfi
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Il Popolo della Famiglia
Sono sempre più convinto che la decisione di fare di Paola Egonu la vessillifera olimpica per ragioni extrasportive abbia nuociuto alle qualità sportive della 22enne. Certi onori si concedono alla fine di un percorso, Vanessa Ferrari avrebbe meritato il riconoscimento e Egonu si sarebbe sentita meno star. E avrebbe aiutato di più la nazionale di volley femminile battuta da Cina, Usa e eliminata dalla Serbia con un netto 3-0.
Tutto conseguenza del sistema Malagò che ha devastato lo sport italiano, lasciando ogni fatica sulle spalle delle famiglie, zero programmazione e zero investimento, poi se vincono Jacobs o Ganna cerco telecamere e fotografi e passo il cell dove ho appena chiamato Draghi (“capito quanto sono figo e potente?”). Però Jacobs ora vuole scapparsene negli Usa. Il CONI ha nulla da offrire se non qualche giochino mediatico con cui riesce a devastare pure il talento di Paola Egonu.
Io ho un problema: ho in tasca due passaporti: italiano e australiano. Il sistema Malagò non investe, non programma, fa tutto a caso, tranne tessere le pr e la bandiera CIO alla Egonu è una perfetta operazione da pr. Una politica dello sport invece fa come in Australia, chiama tutti i giovani a praticarne uno. Invitare i ragazzi a fare sport avrebbe in Italia due effetti benefici: in mezzo Paese li toglierebbe dalla fascinazione per la criminalità organizzata; darebbe a molti una mission esistenziale, rimuoverebbe parte del tragico vuoto che caratterizza le adolescenze di oggi. Io stesso, non ci crederete, devo l’uscita da un’adolescenza problematica a due tessere: una di partito (la chiesi a 13 anni, mi chiesero di attendere un anno) e una della FIDAL che mi diede uno stadio dove allenarmi oltre che una missione da compiere. Quando corsi da ragazzino ai campionati regionali FIDAL i 2000 metri battendo nettamente il mio personale, sesto posto assoluto, ero l’adolescente più felice del mondo.
Fino agli Anni Ottanta si programmava politica sportiva e nascevano i campioni dell’82, il record assoluto di medaglie olimpiche di Los Angeles ‘84, l’epopea di Alberto Tomba, la dominazione nel ciclismo con Saronni e Moser e tanti altri e senza il doping, Mennea e la Simeoni ma anche Cova, Damilano o la Dorio, i leggendari schermidori, i campioni di equitazione, i pugili, i lottatori, i tiratori, il Settebello, gli Abbagnale: insomma, un movimento sportivo nazionale complessivamente leggendario. Che aveva un movimento di base dove tutti facevamo sport.
Ora tutto questo è stato ricalcato pari pari in Australia ed è stato dismesso da noi. Risultato ovvio, l’Australia ha il doppio dei nostri ori (con un terzo della popolazione). Tutti i nostri sport di squadra sono miseramente affondati, siamo andati in crisi fortissima persino nelle miniere d’oro come la scherma. Certo, abbiamo vissuto venti minuti che non dimenticheremo mai con Jacobs e Tamberi, questo è il metodo Malagò che è diventato il metodo Italia: apri il pacco e speriamo che sia quello con la botta di culo. E se lo è di corsa foto, telecamere, al cell con Draghi e si veda bene chi è che lo passa al campione e si senta che io lo chiamo “Mario”. Tanto una cintura di giornali e televisioni che con le pr ho trasformato in cantori di regime, non oseranno mai dire che passare dagli otto ori di Rio ai sei di Tokyo è arretrare del 25%, che si era sbarcati in terra nipponica parlando di 45 medaglie e ne sono arrivate 30 e forse si chiuderà a 34.
Parlo ai mulino a vento, lo so, Malagò è fortissimo e quei venti minuti lo hanno cementato. Ma nell’Italia uccisa dai lockdown, con danni pesantissimi tra i giovani, una seria politica sportiva sarebbe decisiva e gli attuali dirigenti non sanno e non vogliono attuarla. Teniamoci Malagò e speriamo bene. Che non rovini ulteriormente la Egonu, che potrebbe diventare fortissima se non fosse trattata (per ragioni extrasportive) da leggenda sportiva quale non è. Che qualcuno ragioni e costruisca investimenti seri, politiche sportive serie, che non lascino sole le famiglie per cui una attività agonistica può essere una vera e propria ragione che riempie una vita.
Costruiamo logiche meritocratiche, non viziate da lobby e scorciatoie, perché il bello dello sport è la sua oggettività, la sua nettezza. Secondo me, ragionando tutto assieme, si capirà che le grandi gioie di Tokyo sono accompagnate da gravi errori strutturali. Porvi rimedio può significare fare del bene alla società tutta intera.