Riflessioni di una millennial su matrimonio e divorzio

14 Dicembre 2020 Nicoletta Rossi
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, Il Popolo della Famiglia, Nicoletta Rossi

Domenica scorsa la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha varato il così detto decreto “ristori quater “ che prevede un’ulteriore serie di interventi economici pubblici per arginare gli effettivi negativi sull’economia reale della pandemia sanitaria. Anche questo provvedimento troverà attuazione, come i precedenti, grazie all’ennesima variazione di bilancio, rispetto a quanto definito per il triennio 2020-2022, pari a otto miliardi di euro (il quinto scostamento di bilancio per l’anno in corso). A quanto sale, a questo punto, il totale complessivo di spesa pubblica a debito deliberata dal Parlamento per fronteggiare le misure straordinarie necessarie in tempi difficili come quelli attuali? Ben 197 miliardi di euro. Cifra decisamente alta visto che potrebbe crescere ulteriormente, a detta del governo, con un altro scostamento (ipotizzato per gennaio 2021) pari a 20 miliardi. Questi soldi, presi a prestito dallo Stato italiano, vanno ovviamente ad aggiungersi agli oltre 2.500 miliardi di euro (circa il 135% del PIL nazionale) di debito pubblico nazionale: l’incremento esponenziale del debito è, come ebbe già a dichiarare Mario Draghi all’inizio della pandemia sanitaria, un problema globale che, però, offre segnali maggiormente allarmanti per paesi come l’Italia che, già prima del corona-virus, avevano posizioni debitorie decisamente “fuori misura”.
Sono quindi cinquant’anni che in Italia esiste il divorzio. Essendo io nata nel 1997 chiaramente non mi pronuncio sulla differenza culturale che questa legge ha prodotto, né tantomeno sulle conseguenze demografiche.
Essendo una ragazza di quasi 23 anni vorrei soffermarmi sull’effetto che questa legge ha prodotto sui millenials come me. È ormai cosa nota che le giovani generazioni abbiano perso la fiducia nel futuro che è visto come una minaccia.
Paura di non trovare lavoro, paura di non essere abbastanza in gamba, paura di non essere indipendenti da un punto di vista economico e di non riuscire ad avere una propria casa.
Tutti problemi oggettivi, per carità, ma problemi che se venissero affrontati in due, sarebbero fronteggiati con meno terrore. Con ciò non voglio assolutamente dire che si sta insieme solo per motivi utilitaristici, ma avere affianco una persona che ci ama in modo incondizionato e che è pronta a sacrificarsi perché ha fiducia in noi e nel futuro della coppia… beh, dà molta sicurezza. E il futuro sembra meno spaventoso.
La fiducia incondizionata nel proprio compagno di viaggio la sia ha solo tramite il matrimonio.
In uno dei miei libri preferiti (“I Signori dell’Anello. Guida alla vita familiare in piccole note” di S.Rossi), viene detto che la differenza tra convivenza e matrimonio è la stessa differenza che esiste tra un lavoro in nero e un lavoro con il contratto in regola. Con un lavoro in nero ci si sente sempre messi alla prova, ma mai del tutto sereni. Con un lavoro in regola invece si ha la serenità di non essere mandati via in malo modo al primo errore che viene commesso (almeno si spera!), così come nel matrimonio si ha fiducia nel proprio compagno di viaggio e nel suo perdono nonostante tutto.
Il matrimonio nasce quindi con l’idea di una continuità, di un “per sempre”.
Il divorzio è deleterio perché ha fatto sì che l’istituzione familiare -che dovrebbe essere inscindibile- diventasse reversibile e quindi conseguentemente svuotata del suo significato più profondo: quello del “per sempre”.
“Se quindi il matrimonio non è più inscindibile dunque, perchè sposarsi? Che senso ha?” È ciò che si domandano molti uomini quando la loro donna fa esplicitamente richiesta. “È per il vestito bianco e per la festa” cinguetta lei.
Triste ma vero ciò che sostiene l’uomo medio: se il matrimonio è svuotato di significato, una convivenza non cambia la sostanza. Se dovesse andare male il fidanzamento o la convivenza ci si lascia, se va male il matrimonio, si divorzia. Facile e pratico. Senza contare che almeno la convivenza non lascia spazio a mantenimenti di sorta o avvocati da pagare.

Il vero dramma del divorzio è quindi aver equiparato matrimonio e convivenza. Tengo a fare un’ultima riflessione. Il divorzio potremmo considerarlo come una delle tante idee che ha avuto l’uomo per equipararsi a Dio. D’altronde come ben sappiamo nella cerimonia religiosa esiste la dicitura “finchè morte non vi separi”… e cos’altro è la morte se non la distruzione naturale del matrimonio? E cos’altro è il divorzio se non la distruzione artificiale del matrimonio?
La chiave per un matrimonio solido – e quindi che rimanga in piedi nonostante le intemperie- è un fidanzamento sano. Un fidanzamento sano non riguarda solo cattolici, perchè la felicità di coppia dovrebbe essere di tutti. Intanto un fidanzamento sano dovrebbe essere ricco di significato e di senso: non è un semplice passare il tempo o un’attesa prima di andare a convivere o prima di sposarsi. Lo scopo del fidanzamento è conoscere la persona che si ha di fianco, metterla alla prova, stuzzicarla sui suoi difetti, parlare delle rispettive famiglie di origine, mettere allo scoperto le debolezze e le ferite ed imparare insieme ad accettarle e parlare, parlare tanto.
Non si sta scegliendo un compagno di merende, ma un compagno di squadra con il quale si condividerà il resto della propria vita. Ed è bene che l’altra persona sappia il nostro obiettivo di vita..sembrerà scontato ma noto che in molti programmi televisivi si vedono sempre più coppie che discutono a causa di fraintendimenti e di poco dialogo: ognuno si è fatto un’idea sbagliata dell’altra persona nonostante magari la coppia fosse insieme da anni. E benedetti reality show se qualche volta sfasciano fidanzamenti… meglio sfasciare una coppia di fidanzati incompresi che una coppia di coniugi frustrati.

In tutto questo parlare di fidanzati e matrimoni, il tema dell’amore ho preferito lasciarlo in fondo. L’innamoramento ci fa interessare all’altra persona, magari perchè è carina, intelligente o simpatica. Ma il matrimonio non si basa solo su questo: si basa sulle isterie di lei – la sottoscritta in primis- e i mutismi di lui. Si basa sui calzini bucati e sui panni stesi, sui piatti da lavare e sui capricci di qualcuno. L’amore va coltivato con pazienza come una piantina.
Solo con la pazienza, la reciproca comprensione e la fiducia nell’altro si potrà avere un matrimonio duraturo e ricco di significato.

Fonte: La Croce Quotidiano – Dicembre 2020